La Signora d’Efeso: incontri sulla maternità
Quattro incontri dall’atmosfera intima e informale, durante i quali donne di diverse nazionalità si raccontano: l’attesa, la preparazione della casa, la nascita, l’allattamento e lo svezzamento, le fiabe e i primi passi…
Essere mamma è un aspetto della vita che accomuna le donne di tutto il mondo e che segna indelebilmente l’identità della donna, sia nella sua intimità, sia nella società. Divenire mamma, infatti, è un evento che rivoluziona la vita della donna come persona, ma anche come individuo all’interno di una società. Continua a leggere…
I bambini delle mamme lavoratrici si ammalano di più
Mamme lavoratrici, brutte notizie! Ho appena letto su FocusSalute che i nostri figli si ammalano di più rispetto ai bambini delle mamme che si prendono cura di loro a tempo pieno…
A dirlo è uno studio condotto da ricercatori della North Carolina State University. La ricerca, pubblicata sul Journal of Health Economics, ha messo in relazione la condizione di lavoro della madre e lo stato di salute di salute di circa 89 mila bambini in un periodo compreso tra il 1985 e il 2004.
Dall’analisi dei dati è emerso che i figli di madri lavoratrici hanno il 200 per cento di rischio in più di aver bisogno di un ricovero, di avere episodi di asma o di essere vittime di incidenti o di avvelenamenti.
«Non credo che nessuno voglia generalizzare ed esprimere giudizi di valore sul fatto che una donna lavori o meno», ha affermato l’autrice dello studio, Melinda Morrill. «Ma è importante che cominciamo a fare anche una valutazione dei costi e dei benefici derivanti dalla decisione della madre di lavorare».
Siamo alle solite.
Articolo originale qui.
Insegniamo ai nostri figli il pensiero laterale

Mamme in equilibrio. Ma un equilibrio è possibile?
Ho appena letto un bel post di Monica Ricci Sargentini, sul blog La 27esima Ora. Il post si intitola “In equilibrio tra maternità, lavoro, carriera. Si può essere meno acrobate?” ed è stato ispirato da un’intervista a Sarah Jessica Parker in occasione della proiezione del film Ma come fa a far tutto? in cui l’attrice, che ha tre figli di cui due gemelle piccole, impersona Kate Reddy – una mamma in carriera che cerca di conciliare lavoro e famiglia con effetti spesso disastrosi e anche esilaranti (come raccontata la giornalista in un articolo del Corriere ).
Il post comincia con una frase della Parker, che nell’intervista dice “Arriva un momento in cui bisogna ammettere che c’è un deficit, che il lavoro entra troppo nella tua vita e tu ti guardi indietro e vedi che 18 mesi sono passati e che senza accorgertene hai perso il punto di vista sulle cose”. Continua a leggere…
Io speriamo che mamma e papà facciano l’amore
Appunti e pensieri di un papà sulla sessualità tra genitori.
Certo, l’argomento è delicato e andrà quindi affrontato con un po’ di sana ironia, mettendomi in prima linea e cercando di offrirvi, per quello che mi è possibile, un piccolo, piccolissimo spunto di riflessione su come e perché cambiano le relazioni in famiglia con la nascita dei bimbi.
Se nel post “Il triangolo (im)perfetto…” ho sculacciato i miei compagni di sventura, cioè papà “troppo” presi per vedere le difficoltà della propria compagna di fronte alle sfide quotidiane, oggi invece ci concentriamo un po’ di più sulla nostra “dolce” metà. Mamma mia, chissà quanto mi costerà!! Credo che l’argomento sesso sia una questione “delicata”, che però riguarda moltissime coppie di genitori. Partendo dalla mia esperienza, una cosa che mia moglie mi rimprovera spesso è: “Fabio ma pensi sempre la stessa cosa?!”. Io non rispondo, ma penso: “Ci puoi scommettere, cara!!!”.
Nella pratica, è molto frequente parlare con coppie che fanno risalire l’inizio delle incomprensioni e delle tensioni alla nascita del bimbo. Questo evento produce spesso l’intensificarsi dei conflitti e la riduzione dei rapporti sessuali, il cui protrarsi viene giustificato dalla necessità di occuparsi delle “piccole belve”. I figli diventano quindi un impedimento ad una vita di coppia appagante e, al tempo stesso, l’obbligo a restare uniti per svolgere il compito genitoriale. Cari amici, il punto è che l’esclusione dalla coppia della vita sessuale comporta anche un impedimento delle stesse funzioni genitoriali, come fornire ai nostri piccoli cure adeguate di fronte ai bisogni così diversi che si presentano durante la loro crescita.
Noi genitori, infatti, siamo chiamati a compiti evolutivi estremamente complessi, che coinvolgono aree affettive diverse e molto sensibili e che possono comunque riattivare conflitti ed ansie. Tra questi compiti, un posto centrale è occupato dall’integrazione della sessualità con le funzioni di genitore… Ci dobbiamo fare i conti, è inevitabile… Shakespeare nel suo “Racconto d’inverno” ci parla di come la gelosia di un marito si scateni violentemente di fronte alla gravidanza della moglie, considerata frutto di un tradimento. Ad un altro “livello”, possiamo pensare a questa reazione come il segnale di un legame “difficile”, in cui il marito si ribella alla minaccia di perdita del possesso esclusivo della moglie, a causa dell’arrivo del piccolo. Senza arrivare ad estremi del genere e tornando alla realtà quotidiana, la nascita dei nostri piccoli può esporre noi maschietti “fragili” a sentimenti di esclusione e di gelosia, poiché abbiamo perduto quella posizione privilegiata in cui ci sentivamo “unico” oggetto di amore e di attenzione della nostra compagna.
E le nostre donne? Non dovevo “prendermela” con loro, questa volta?! Amici miei atto secondo (il primo era “Il triangolo (im)perfetto”, ricordate?): le nostre mogli, le nostre compagne, non sono da meno. Potrebbe accadere, infatti, che si ritrovino a provare sentimenti di rancorosa rivalità nei nostri confronti, che ci attribuiscano posizioni privilegiate dalle quali continuare a godere di una vita attiva, libera e gratificante, senza quelle limitazioni che “solo” la mamma vive per accudire il suo “tesoro”. Quante mogli rimproverano infatti i propri mariti con frasi del tipo: “tu puoi ancora uscire con i tuoi amici, mentre io devo stare a casa a badare ai bimbi!”; oppure “tu non hai dovuto sacrificare la tua carriera per i figli; sono io che ho rinunciato a tutto per la famiglia”; eccetera eccetera…
Care mamme, care mogli, care compagne (ora tocca a voi meditare), purtroppo, è proprio a queste esperienze emotive che sembrano potersi ricondurre moltissimi casi di tradimento da parte del maschietto, soprattutto in coincidenza con la nascita del “pupetto”. Uscendo dallo stupido pregiudizio per cui “Gli uomini sono tutti porci e traditori”, ci si potrebbe anche aprire all’idea che il tradimento, almeno in questi casi, rappresenta un modo per tenere a bada l’ansia e la rabbia dell’esclusione, che viene imposta dal privilegio di cui gode il bimbo nella vita e nella mente della nostra (ormai sua) donna. Sebbene bisogna riconoscere che simili episodi derivano prevalentemente dalla vulnerabilità e dall’intensità dei bisogni del maschietto, bisogna anche fare i conti con il fatto che spesso vengono agevolati, anche involontariamente, dalla donna quando incontra difficoltà a svolgere quel compito fondamentale di cui accennavo prima, cioè coniugare in modo equilibrato la propria condizione di madre con la pratica della sessualità.
Cari papà, care mamme, siamo tutti grandicelli per “negare” che il sesso rappresenta una spinta motivazionale fortissima, tanto è vero che, laddove la relazione non sia soddisfacente nella vita reale, ecco comparire anche le relazioni virtuali. Fenomeno sempre più diffuso che riguarda noi-coppia ma anche noi-genitori: “Come riusciremo ad insegnare ai nostri figli a distinguere tra reale e virtuale, mettendoli in condizione di riconoscere le potenzialità ed i rischi della rete, se noi stessi, a volte, ne siamo consapevoli” vittime” ed altrettanto consapevoli “carnefici”?
Alla prossima!
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Coppia e famiglia. Crescere insieme.
Chi non è attratto dai propri simili? E’ una legge della natura. Ed io non faccio eccezione. Mi accorgo infatti che, ovunque vada e qualunque cosa faccia, cerco inesorabilmente il confronto/conforto di altri genitori. Spesso la comunicazione si limita a qualche sguardo complice e comprensivo, a qualche sorriso appena percettibile, a qualche gesto di palese solidarietà verso le difficoltà e le gioie che tutte le mamme e i papà di questo mondo devono affrontare nella quotidianità. E, sempre più spesso, mi accorgo di cercare in altri genitori l’affermazione dei miei problemi, sperando nel famoso “mal comune, mezzo gaudio”.
Eppure, se il confronto con “i propri simili” è fonte di apprendimento, il confronto con il diverso può essere fonte di ispirazione e di continue rivelazioni.
Abbiamo una coppia di amici, sposata e senza figli, con cui – non appena possibile – organizziamo qualche uscita. Loro tollerano in maniera sorprendentemente amorevole le nostre piccole pesti. E per noi, osservare per qualche ora il loro modello di famiglia, cosi diverso dal nostro, ci regala una boccata d’aria ristoratrice. Ma, soprattutto, ci costringe a riflettere su alcuni aspetti che troppo spesso rischiano di venire sommersi dal tran tran quotidiano della vita di una famiglia pargolo-munita.
Uno di questi è il ruolo della coppia e il modo in cui questa (sopra)vive nella famiglia. Sono sicura che, in maniera intelligente e razionale, tutti noi sappiamo che la coppia è il fondamento di qualsiasi famiglia. Se la coppia è solida, tutto il nucleo familiare cresce in maniera equilibrata e si rafforza nel tempo. Se la coppia scricchiola, inevitabilmente, scricchiolano le fondamenta di tutta la famiglia. Eppure, che fatica mettere in pratica la buona teoria… Come si dice, tra dire e fare c’è di mezzo il mare. Anzi un oceano intero…Anche coppie solidissime prima dell’arrivo di un figlio, si ritrovano sballottati in una tempesta inaspettata una volta nato il piccolo batuffolo, tanto coccoloso quanto tiranno. E rischiano di perdersi. Rischiamo di perderci.
Insomma, l’amore è un progetto, non un concetto astratto. E, come qualsiasi progetto, richiede tanta forza, costanza e persistenza. La voglia incrollabile di non soccombere a problemi, corse contro il tempo, insoddisfazioni, sacrifici. Il coraggio di non dimenticare i motivi che ci hanno spinto, tempo addietro, a diventare compagni di vita prima di diventare genitori. E, perché no, richiede senz’altro una ferrea disciplina nel seguire poche, semplici regole di “buona condotta”: ritagliarsi del tempo come coppia, non smettere di comunicare, non smettere di ridere insieme, ringraziare per i gesti affettuosi che riceviamo, esternare le cose positive dell’altro, fare l’amore…
Sembra facile, vero? Eppure sappiamo che non lo è. Ma i problemi di coppia e di famiglia… si risolvono solo all’interno della coppia e della famiglia. Come? semplicemente, facendo un passo alla volta. Credendoci. Volendolo. Crescendo insieme.
Nel nome di una serenità che a volte sembra una chimera ma che invece è una conquista. Nel nome della nostra felicità, di quella del nostro partner e, soprattutto, di quella dei nostri figli. Perché ogni bambino nasce anzitutto nella mente e nel cuore dei genitori ed è lì che cresce veramente. Che diventa persona, individuo, adulto. Tra due pilastri che per definizione devono essere fermi, forti ed entrambi presenti. Perché è tra quei due pilastri, in quello spazio chiamato famiglia, che lo sviluppo dei nostri figli si concretizza, trovando il proprio equilibrio e la realizzazione di sé.
E adesso corro a ringraziare mio marito. Ieri sono stata malissimo e lui mi ha coccolata come fossi stata una bambina, nonostante avessimo da poco discusso. Se non è amore questo… Scrivere questo post mi ha ricordato che seguire quelle famose, semplici regole è un impegno che non ammette deroghe. Quindi, un grazie pubblico al mio compagno di vita. Ed ora, spengo il PC e vado a ringraziarlo in privato… i bimbi sono dai nonni, eh eh!
Il latte di mamma non si scorda mai! L’importanza di allattare al seno.
Il latte di mamma non si scorda mai! E’ lo slogan della recente campagna del Ministero della Salute a favore dell’allattamento al seno.
Allattare al seno è il modo più naturale di nutrire il proprio bambino ed il latte materno è certamente l’alimento più adatto per il cucciolo d’uomo. Ma allattare è anche un’esperienza emozionale unica, una possibilità che la natura ha messo a disposizione di tutte le mamme e di tutte le donne che partoriscono.
I vantaggi dell’allattamento al seno sono molti: è un alimento vivo che si modifica adattandosi alle esigenze del bambino durante la crescita, fornisce al piccolo anticorpi che lo aiutano a difendersi dalle infezioni, aiuta il bambino modulando gli effetti di agenti sensibilizzanti sul sistema immunitario, è sempre pronto, caldo al punto giusto, facilmente digeribile, pratico e disponibile in qualunque momento, nella quantità giusta. Ed è economico!
Allattare al seno, inoltre, favorisce la relazione tra mamma e bambino dando continuità all’esperienza di unione propria della gravidanza, ed aiuta il bambino a calmarsi se è nervoso o piange.
Le ostetriche suggeriscono che è molto importante attaccare il bambino al proprio seno entro le prime due ore dalla nascita o comunque al più presto possibile, nel rispetto dei tempi e della disponibilità della madre e del neonato. La suzione precoce faciliterà l’avvio dell’allattamento: nel seno della mamma che ha partorito c’è colostro, un alimento unico ed insostituibile per valore nutritivo e perché contenente gli anticorpi della mamma che difendono il neonato dalle infezioni.
Spesso il ritorno a casa coincide con l’arrivo della montata lattea che a volte può comportare disagio, ci si trova a tu per tu con il bambino e con i primi dubbi, le ansie ed i piccoli problemi. Se ne sentite il bisogno, quindi, non esitate a rivolgervi alle strutture che nel vostro territorio prevedono servizi di sostegno all’allattamento al seno, o ad associazioni e consulenti in grado di ascoltarvi ed aiutarvi in questi primi momenti e nel tempo. Se vi è possibile partecipate a incontri sul tema: potersi confrontare con altre mamme e sostenersi a vicenda è importante. Serve a rassicurarsi e ad affrontare con maggiore serenità un momento così bello ma così impegnativo come i primi mesi di vita del vostro bambino.
Preziosi consigli ed informazioni possono anche essere reperite dalle tantissime associazioni che si occupano di allattamento al seno a livello nazionale; eccone qualcuna: MAMI, La Leche League Italia, La Leche League International.
Inoltre, sul sito nazionale www.aiblud.org, potete trovare l’ elenco delle Banche del latte umano operanti sul territorio italiano. Il sito mette a disposizione anche una pagina con indicazioni per donatrici. Donare il latte non richiede un impegno particolare e non comporta alcun costo, è sufficiente estrarne una quantità anche modesta con un tiralatte e conservarlo nel congelatore. E’ possibile raccogliere il latte materno e donarlo ai bimbi nati prematuri e a tutti quelli che per gravi problematiche non tollerano altri tipi di latte. Per fare questo è necessario sottoporsi ad un normale controllo che consiste in un prelievo del sangue per escludere eventuali malattie (es. epatite, HIV, etc.).
Infine, da vedere il video “Latte a km zero…”, un bellissimo filmato che ci mostra come allattare bene al seno!
Io ho allattato entrambi i miei bambini e posso assicurare che è una delle esperienze più belle della vita di una mamma. Allattare al seno è uno scambio di messaggi, di emozioni e di amore. Se potete, non privatevene.
Mamme e lavoro: i primi due anni sono i più difficili?
Quanto è difficile coincilare lavoro e famiglia?!
Uno studio condotto da Bankitalia sostiene che, nel lungo periodo, i bambini non ostacolano la carriera delle mamme lavoratrici! Di seguito vi riporto l’articolo pubblicato da Ansa che riassume i risultati di questa indagine:
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In Italia si puo’ essere mamme senza dover rinunciare a lavorare: avere figli non e’ un ostacolo, anzi nel lungo periodo puo’ anche essere d’aiuto. E’ quanto dimostra, a sorpresa, uno studio condotto da due economiste della Banca d’Italia, Concetta Rondinelli e Roberta Zizza. Ma, avvertono, c’e’ una prova del fuoco da superare. I primi due anni dopo la nascita restano un problema. La ricerca di un lavoro diventa inoltre piu’ difficile all’aumentare del numero dei figli.
Dal working paper di Via Nazionale ‘Effetti (non) persistenti della fecondita’ sull’offerta di lavoro femminile’, emerge, quindi, che molto dipende dall’eta’ del bambino. Piu’ in particolare, dall’analisi ”e’ risultato che avere un figlio sotto i 23 mesi riduce (anche se non significativamente) la probabilita’ di una donna di avere un lavoro retribuito, una diminuzione che diventa piu’ netta all’aumentare del numero dei figli”. Però ”questi effetti si esauriscono con il tempo, diventano positivi (staticamente azzerati), cio’ significa che nel lungo corso la presenza di bambini sembra avere per le madri un leggero effetto di spinta verso il mercato del lavoro”. Non e’ comunque tutto oro quello che luce: vengono infatti registrati ”indizi” negativi sulla qualita’ del lavoro, in termine di qualifica, tipologia e orario di lavoro.
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Bah. Personalmente lo studio non mi ha convinta: in Italia, il ruolo della mamma che lavora è veramente difficile.
Mi convince di più un recente rapporto ISTAT, che sottolinea quanto sia singolare la situazione delle donne italiane nel panorama europeo. Vediamo qualche numero:
- Nel 2010 è peggiorata la qualità del lavoro femminile e scesa di 170.000 unità l’occupazione qualificata, mentre è aumentata di 108.000 unità quella non qualificata – in pratica sono uscite dal mercato del lavoro donne istruite con un buon lavoro, sono entrate badanti e impiegate nei servizi di pulizia straniere ma anche italiane. Il part-time femminile è cresciuto di 104.000 unità, ma si tratta interamente di part-time involontario. In generale, il tasso di occupazione femminile nel 2010 si è attestato al 46,1%, 12 punti percentuali in meno rispetto a quello europeo. Se si guarda al Sud però è ancora peggio: infatti nel Mezzogiorno solo 3 donne su 10 sono occupate, contro le 6 su 10 del Nord.
- Disparità salariale e sottoinquadramento. Il 23% delle occupate ha un lavoro che richiede una qualifica più bassa rispetto a quella posseduta (tra gli uomini la percentuale è del 31%). Nel 2010 si è anche aggravata la “disparità salariale di genere”: la retribuzione netta mensile delle lavoratrici dipendenti è in media di 1077 euro contro i 1377 dei colleghi uomini, il 20% in meno.
- Le dimissioni in bianco: 800.000 senza lavoro dopo la nascita di un figlio. La triste pratica delle “dimissioni in bianco” per le donne che diventano madri non è mai tramontata, anzi. Sono circa 800.000 (pari all’8,7% delle donne che lavorano o che hanno lavorato) “le madri che hanno dichiarato di essere state licenziate o messe in condizione di doversi dimettere, nel corso della vita lavorativa, a causa di una gravidanza. Solo quattro madri su dieci tra quelle costrette a lasciare il lavoro ha poi ripreso l’attività, ma con valori diversi nel Paese: una su due al Nord e soltanto poco più di una su cinque nel Mezzogiorno.
- Lo stress da lavoro si conferma per le donne un problema ormai diffuso: ben il 95,6% afferma di conoscerlo e viverlo, una su tre dichiara di conviverci abitualmente e il 62,6% in alcuni periodi dell’anno (da un’indagine condotta da Assidai in collaborazione con SDA Bocconi). Dall’inchiesta è emerso come le categorie professionali che risultano maggiormente esposte allo stress da lavoro sono, nell’ordine, dipendenti, manager e consulenti, con un picco nella fascia d’età tra i 35 e i 45 anni. Tra le principali fonti di stress quotidiano emergono, dall’indagine, la difficoltà a far conciliare l’impegno professionale con la vita familiare (per il 50%) e l’eccessivo carico di lavoro (per il 42%). A questi fattori si sommano problemi legati all’organizzazione interna e allo scarso dialogo con i vertici aziendali. Tra le altre motivazioni la mancanza di obiettivi definiti, l’incertezza nella definizione dei ruoli e un percorso di carriera poco chiaro (38%), fino alla richiesta di incarichi, mansioni e responsabilità non sempre affini alle proprie competenze e al profilo professionale (19%). Vedi approfondimento.
Insomma, come spesso accade in Italia, la verità sembra perdersi nei meandri della disinformazione e del non dire. Io, in qualità di mamma lavoratrice, affermo con forza che coinciliare lavoro e famiglia è una delle sfide più difficili che una donna debba affrontare nella vita. Lo affermo con forza, nonostante sia tra le mamme-lavoratrici fortunate ad avere, oltre ad un lavoro, anche un marito che sostiene e che spalleggia!
Alle evidenze degli studi soprariportati, aggiungo:
– gli orari di apertura di nidi comunali/ statali non corrispondono quasi mai agli orari lavorativi dei genitori;
– le rette degli asili nido sono carissime e spesso tali costi vanno integrati con il costo di una baby sitter per coprire quelle fasce di orario non coperte dall’asilo;
– ottenere un part-time, per provare a coinciliare meglio lavoro e famiglia, sembra essere una chimera per moltissime. Per tante, equivale alla fine della propria crescita professionale;
– gli orari di scuole materne, elementari e medie sono ancora più ridotti di quelli degli asili nido e per nulla flessibili;
– le vacanze stabilite dalle scuole prevedono un numero superiore di ore e giorni di ferie rispetto a quello di qualsiasi contratto nazionale
Insomma, la situazione è al limite del paradossale. Voi cosa ne pensate?
Vostro figlio urla come un matto? Parola d’ordine “Non cedere!”
Sono convinta che sia una scena nota a tutti voi, miei cari genitori e compagni di sventura… State facendo la spesa con i vostri bimbi, tutto sembra tranquillo… ed ecco che, improvvisamente, vostro figlio irrompe con la domanda più temuta di tutte: “Mamma mi compri questo?!”. Dopo i primi vostri “NO” e le prime più o meno educate proteste della piccola peste, scoppia inesorabilmente la tempesta: capricci, urla, pianti, a volte anche calci e pugni… E mentre voi provate stoicamente a non cedere, la gente intorno vi guarda con aria di disapprovazione, scuotendo la testa e commentando fra i denti…
Eh si, la baby crisi isterica può avvenire ovunque ed in qualsiasi momento: a casa, per strada, al ristorante, al parco giochi, al supermercato… E la storia è sempre la stessa, il piccolo tiranno si dimena ed il povero genitore prova maldestramente a gestire sia il figlio che il proprio imbarazzo… E’ successo anche a voi, vero?! Bé, sappiate che fa tutto parte del copione: il bambino sta tentando semplicemente e con tutte le armi che ha a disposizione di ottenere ciò che vuole. E sa bene che snervare mamma e papà è la strada più facile per ottenere successo… Il punto è che, se mamma e papà cedono, è la fine. Il piccolo tiranno li avrà in pugno per sempre. A dirlo è il pediatra Italo Farnetani, docente dell’Università di Milano-Bicocca.
Per fortuna, ci sono due magre (molto magre) consolazioni:
1) la prima è che, a parere di Farnetani, “sono bimbi molto intelligenti quelli che cercano di imporre la propria volontà prima dei 2 anni. Ecco che la casa, e soprattutto le uscite in pubblico, possono diventare teatro di una lotta di potere che vede soccombere i genitori permissivi, ma non quelli protettivi e autorevoli”, assicura l’esperto.
2) la seconda è che non siamo da soli… In Italia, già ad un solo anno di vita, 30.000 bimbi sono talmente intelligenti da cercare di imporre la propria volontà a suon di pianti e urla. La piccola folla urlatrice si espande a dismisura raggiungendo quota 150.000 bambini, non appena si taglia il fatidico traguardo degli ormai noti ‘ terribili 2 anni’ (una fase in cui anche il bimbo più angelico mostra continui ed esasperanti atteggiamenti di ribellione). Come si dice, mal comune, mezzo gaudio…
In realtà, con queste richieste ostinate ed insistenti, i bambini ci comunicano il bisogno di ricercare un limite che solo noi, in quanto adulti e genitori, siamo in grado di fornirgli, grazie a un sistema di regole e di divieti ben precisi e circostanziati. Non porre dei limiti e dei confini ai nostri figli significa abituarli a vivere in un mondo privo di regole e, quindi, privo di punti di riferimento.
Come comportarsi dunque? Di fronte all’atteggiamento troppo lassista di alcuni genitori, incapaci di porre dei limiti, si contrappone l’atteggiamento di altri indubbiamente troppo rigidi e intransigenti. Se è bene ricordare che nessun estremo garantisce una crescita equilibrata, è altrettanto importante sottolineare che la politica del “lasciar correre e del lasciar fare” non è un segno di amore per i nostri figli. Anche se con un tale atteggiamento siamo convinti di rispettare la loro libertà e la loro autonomia, di fatto rischiamo di trasmettergli un segnale di indifferenza. Vale la pena allora riflettere ricordando che l’amore non è sufficiente per educare un figlio. E’ fondamentale partire proprio dal nostro amore per evolvere verso una genitorialità più matura ed autorevole. E’ l’unico modo per dare ai nostri figli gli strumenti necessari per crescere e ad affrontare il mondo, anche senza di noi.
Ecco, allora, 10 piccole regole per gestire i nostri baby-urlatori senza soccombere:
1) Chiarire in modo inequivocabile cosa è concesso e cosa non lo è. “E’ fondamentale mettere dei paletti”, dice Farnetani.
2) Mostrarsi irremovibili sulle decisioni condivise: “Il piccolo ‘annusa’ la parte debole della coppia”.
3) Non alterare il proprio comportamento in seguito agli strilli, altrimenti si rischia di perdere “non una battaglia, ma la guerra”.
4) Non far capire che pianto e urla ci mettono in imbarazzo in pubblico: il piccolo li riserverà alle uscite per ottenere quello che vuole. “Meglio ignorare gli strepiti, parlare al bimbo con voce calma e tranquilla mostrandosi indifferenti. Se imbarazzati dagli sguardi altrui, meglio spiegare che si tratta solo di un capriccio piuttosto che cedere per farlo stare buono”.
5) Cercare di rispettare il più possibile gli orari del bimbo, in particolare quelli della pappa e del sonno. In questo modo sarà più tranquillo e meno irritabile.
6) Se a un anno vuole mangiare insieme agli adulti, è bene assecondarlo. Certo non potrà consumare le stesse cose, ma assaggiare e guardare come si comportano i grandi può essere utile. Insomma, se fa i capricci per mangiare con mamma e papà, “si può tranquillamente concedere un posto a tavola”.
7) Quando si mette a strillare è bene che tutti, “genitori, nonni e tata, abbiano lo stesso atteggiamento. E non facciamoci ingannare da pseudo-credenze come quella secondo cui i maschi non vanno fatti piangere, sennò gli esce l’ernia”, dice Farnetani.
8 ) Non forzarlo ad andare a letto troppo presto o quando c’è troppa luce. “Meglio portarlo a nanna quando ha sonno, così dormire da solo nel lettino sarà’ più’ facile”, assicura.
9) Non imporgli tutto, ma solo le cose fondamentali. “Insomma, è giusto concedere qualcosa al piccolo urlatore, ma e’ vietato farlo quando strilla: deve imparare a chiedere, specie se è già grandicello”.
10) Non reagire mai con rabbia o frustrazione, ma mostrarsi calmi e imperturbabili. Questo, assicura il pediatra, disinnescherà l’arma ‘sonora’.
E se avete avuto la pazienza e la voglia di arrivare fino in fondo a questo post, vi premio con un’undicesima chicca… la strategia della sgridata di 1 minuto!
Questa strategia è stata studiata da un gruppo di psichiatri americani: una sgridata da 1 minuto significa che deve essere breve per essere ascoltata e compresa dal bambino, facendogli capire l’importanza dell’errore che ha commesso, ma al contempo trasmettendogli un messaggio di affetto, che lo rassicuri del nostro amore. Allontanatevi quindi col bambino dal luogo in cui ha commesso il fattaccio o il capriccio. Prendete in braccio vostro figlio e durante i primi 30 secondi esprimetegli tutta la vostra preoccupazione o la vostra irritazione (è importante che esterniate le sensazioni che state provando, in questo modo scaricherete l’eventuale tensione accumulata). In un secondo momento spiegategli le ragioni per cui è stato sgridato, facendogli capire quale regola è stata infranta. Quando il bambino mostrerà una reazione, cambiate il tono di voce e, con atteggiamento rassicurante, ditegli che in ogni caso lo amate e che lo sapete capace di comportarsi bene. Alla fine di tutto, un abbraccio.